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Categoria: Articoli

Venticinquesima domenica del tempo ordinario 24 settembre 2023

Il padrone della vigna di cui parla Gesù, al mattino, prende degli operai a soldo, poi esce più tardi e chiama altri operai e poi ancora nel pomeriggio, fino alla fine della giornata. Nei campi, al tempo di Gesù, non c’era l’illuminazione e dunque si poteva lavorare soltanto con il sole, fino al tramonto. Pertanto, i lavoratori che erano stati chiamati verso le cinque del pomeriggio, dovevano aver lavorato per mezz’ora, un’ora al massimo. Quegli operai lavoravano tutti per una causa comune, cioè la vigna, ma c’è una differenza tra coloro che erano stati chiamati a lavorare prima e coloro che avevano iniziato più tardi. I primi operai di questo passo del Vangelo si scandalizzano e non hanno capito il senso del loro lavoro, perché credono di essere nella vigna perché migliori degli altri, perché superiori, perché devono far contento il padrone. Ma Dio non segue questa logica commerciale, Dio non è consumismo, è amore incondizionato. Stare nella vigna ha valore soltanto se dal mattino fino alla sera quella è la mia gioia, non un’imposizione. La fine della giornata di cui parla il Vangelo, ormai è chiaro, è la metafora della vita; la ricompensa che ci attende al tramonto della nostra esistenza è la stessa per ciascuno di noi. Non esiste un paradiso di serie B da destinare a coloro che si sono aggiunti troppo tardi. Dunque, la ricompensa è uguale per tutti. Questa logica non deve angosciarci, non deve spingerci verso la tentazione di pensare di vivere un’ingiustizia; piuttosto dovrebbe rallegrarci perché il desiderio di un bravo lavoratore della vigna, di un bravo cristiano è che tutti si salvino. Spesso però, quando qualcuno ci passa avanti o prende il nostro posto, non siamo affatto contenti. La verità è che tutti lavoriamo nella stessa vigna. Ma dov’è questa vigna? La vigna è la strada che faccio per andare a lavoro, è l’ufficio in cui trascorro gran parte della giornata, è la mia famiglia. E non sta a noi decidere le tempistiche di questa vigna, è il padrone che comanda, non gli operai. Dunque, dobbiamo fare una scelta. Le ultime parole del Vangelo suonano come una minaccia: «Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi». Ancora una volta, Gesù conferma che il suo modo di ragionare non somiglia alle logiche umane.È una vigna che ha bisogno di operai umili, che si mettano al servizio, che desiderino veramente il bene della vigna. Gesù non parla di manager, dirigenti, imprenditori, ma di umili operai che si fidino di Lui. *Don Ivan Leto

XXIV° DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Domenica scorsa, Gesù nel Vangelo affermava: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”. Lo diceva al termine del discorso sul perdono fraterno il quale permette ai fratelli di stare insieme. Lui rimarrà in quella comunità solo se ci sarà carità e amore. Lo si canta anche in una famosa melodia: “dov’è carità e amore, lì c’è Dio”. Un versetto di questa canzone dice pure: “Chi non ama resta sempre nella notte e dall’ombra della morte non risorge; ma se noi camminiamo nell’amore, noi saremo veri figli della luce.” I figli della luce, sono quelli che traggono forza dalla luce stessa emanata da Cristo salvezza. Vivere  nella luce di Cristo permette di vedere con chiarezza e affrontare correttamente le cose della vita, soprattutto quelle nelle quali ci viene chiesto di essere misericordiosi come è misericordioso il Padre nostro che è nei cieli. La consuetudine di quel tempo, indicava che si doveva perdonare fino a tre volte e Pietro, già consapevole del modo diverso di pensare che aveva Gesù, gli chiede quante volte doveva essere indulgente. La risposta praticamente fù: sempre! ma per fargli capire quel “sempre”, il Signore usò la metafora del “settanta volte sette”. Provate a fare questo calcolo e vi accorgerete che per esaurire il totale derivante, non basterebbe una vita intera. Gesù adopera il sette perché questo numero è sinonimo di completezza. Il primo utilizzo lo troviamo nella Genesi durante il racconto della creazione. Un cammino di alcuni giorni che si conclude con il settimo nel quale Dio portò a termine la sua opera in modo perfetto. Anche l’uomo è chiamato a completare perfettamente la sua opera, ma ci riuscirà solo se arriverà al “settimo giorno” potendo dire con certezza: “sto in pace con tutti”. La sequela di quel Cristo che tutto ha perdonato, anche il torto più disumano, gli sarà di aiuto. Il perdono e la misericordia di Cristo hanno però una qualità divina. Dobbiamo quindi amare come ci ama Dio e solo allora il nostro perdonare sarà qualitativamente perfetto. Abbiamo spesso l’abitudine di dire: “ti perdono ma non dimentico”…bè, non abbiamo perdonato! Siamo al primo dei sette giorni e dobbiamo fare tanta strada per riuscire a capire che chi perdona per davvero dimentica tutto e non porta rancore. Il Vangelo di oggi è molto chiaro: saremo disconosciuti dal Padre se non perdoneremo di cuore al nostro fratello. Quel fratello che cammina con noi, cade con noi, soffre o gioisce, impara dagli errori commessi ed insieme a noi cerca di trarne insegnamento per non ricadervi. E’ quel fratello che con noi condivide l’amore e la misericordia di Dio. Se riuscissimo ad entrare in questa mentalità, quante divisioni in meno ci sarebbero. Basterebbe essere meno superbi e questo ci renderebbe più disponibili a capire gli altri. Solo così il nostro perdonare sarebbe da settimo giorno!

XXII° domenica del tempo ordinario

Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».

Come abbiamo udito domenica scorsa, Simone figlio di Giona è definito da Gesù “beato”. Oggi è additato come “satana”. Ma non basta, il Signore gli ordina pure di camminargli dietro e prosegue con il discorso forte e per certi versi duro nel quale spiega a chiare lettere cosa significa essere “beati”. Beatitudine la si può intendere come felicità, benessere. A questo stato di vita aspiriamo un pò tutti. Sfido chiunque a dire di non ambire ad essere felice! Però la beatitudine al quale si era riferito Gesù verso Pietro, era scaturita da quell’ esclamazione di quest’ ultimo il quale aveva ben definito chi fosse per lui il Figlio dell’uomo. Ebbene difronte a cotanta fede espressa, Gesù spiega lui intende la beatitudine. Ancora una volta chi lo sente percepisce che la strada non sarà semplice anzi, ma molto tortuosa. Gesù però, non dice “armiamoci e partite” ma di andargli dietro, perché quella strada è lui per primo che la percorrerà. Sarà un cammino che lo porterà fino a Gerusalemme dove verrà appeso ad una croce sulla quale morirà come il peggiore dei malfattori. Ecco qua lo scontro che porta Simone Figlio di Giona a non essere più additato come beato ma bensì come Satana. La mentalità umana di Kefa, lo ferma a quella parte del discorso dove Gesù doveva “andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso” e non gli permette di ascoltarne la parte finale: “e risorgere il terzo giorno.” Simone Figlio di Giona, non pensa secondo Dio ma secondo gli uomini. Ecco perché Gesù lo chiama Satana ma attenzione, non lo caccia via..no. lo invita a stargli dietro. Gesù capisce benissimo la situazione dell’ uomo e da Dio vero  qual è, invita a seguirlo portando ognuno la propria croce. Lui, però si carica  per primo di quel pesantissimo strumento di morte. Ed è egli stesso che ci si fa appendere a Gerusalemme per far vedere a Kefa e tutti coloro che lo hanno seguito, come da quella croce scaturisce la risurrezione. Dio, non ha mandato controfigure a dimostrarci quanto ci ha raccontato nel Vangelo. Lui stesso sì è esposto, ha camminato, ha sofferto e pianto..ci ha fatto vedere come si sale sulla croce ma soprattutto come se ne  scende. Certo, è questione di cambiare mentalità. Facile essere beati come Kefa altrettanto semplice essere come lui dei satana. Paolo nella seconda lettura di oggi dice “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.” Accettiamo anche questo invito dell’ Apostolo delle genti, rischiamo altrimenti di restare appesi alla croce di morte e la risurrezione rimarrà per noi solo un miraggio. La felicità eterna ci sarà sfuggita di mano, avremo perso l’opportunità di essere felici ma felici per davvero!FG

Locandina con il programma della Festa della Madonna delle Grazie.

Carissimi, per Vostra comodità, pubblichiamo la locandina con il programma dettgliato delle Celebrazioni inerenti la Festa della Madonna delle Grazie.